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Il campo di concentramento di Colfiorito

 

Colfiorito, frazione del comune di Foligno a 750 metri sul livello del mare, viene individuato come località da adibire a campo di concentramento dal ministero della Guerra con una nota dell’8 maggio 1936, avente come oggetto i “Campi di concentramento per elementi pericolosi e sospetti sotto il punto di vista militare e politico”.
Le indicazioni ministeriali prevedevano:
1. che le località da adibire a campi fossero situate preferibilmente nelle provincie di Perugia, Macerata, Ascoli Piceno, L’Aquila, Avellino;
2. che il numero dei campi fosse limitato almeno inizialmente ad un massimo di 3;
3. che in essi fossero rinchiusi i politici già confinati, i politici da “fermare” e le spie accertate;
4. che, per ciascun campo, gli internati non superassero la cifra globale di 1000-1500 unità;
5. che l’organizzazione dei campi rientrasse tra le competenze del ministero dell’Interno.

Nel 1936 l’ispettore Ercole Conti segnala la disponibilità di 11 capannoni, ex-poligono d’uso militare, per istituire un campo di internamento. Nel luglio 1939 le caserme di Colfiorito sono operative e nel mese di agosto vengono confinati i primi prigionieri, 9 albanesi che nel giro di pochi mesi saliranno a 27, arrestati in seguito all’occupazione italiana dell’Albania. A causa del clima rigido dell’inverno, gli albanesi usano la diaria giornaliera, 25 lire al giorno, per trasferirsi nelle famiglie di Colfiorito. L’entrata in guerra dell’Italia rende il campo necessario per l’internamento dei “sudditi nemici”. Alla data del 30 giugno 1940 gli internati sono 34, anti-fascisti schedati come pericolosissimi per attività sovversiva, disfattismo politico, propaganda antifascista, oltraggio al duce, diffonditori di voci allarmistiche. Gli internati arrivano al campo sprovvisti di tutto e il campo non è sufficientemente attrezzato, Una visita dell’ispettore rileva lo stato d’indigenza degli internati e il rischio di epidemia per la popolazione locale, e si avanza richiesta di rifornimenti. Alla fine di agosto il numero degli internati sale a centodieci. L’inverno nel campo di Colfiorito è drammatico a causa del freddo, della mancanza di cibo, la mancanza di un’infermeria attrezzata, i capannoni umidi senza soffitto, l’inedia dei prigionieri. Alla fine del gennaio 1941 il campo viene temporaneamente chiuso, sarà sgombrato e gli internati trasferiti in altri campi. Nello stesso anno il campo passa alla gestione del Ministero della Guerra che lo designa C.C. 64 P.M. 3300 e lo riserva ai prigionieri di guerra. Tra la fine del 1942 e i primi giorni del 1943 sono detenuti alcuni prigionieri britannici, australiani e neo-zelandesi. Nel gennaio del 1943 al campo arrivano circa 700 internati montenegrini. Nel giro di poco tempo dai campi albanesi di Kavaja e Clos vengono deportati molti prigionieri e il campo arriva a quota mille, stipati in capannoni che possono ospitare al massimo cinquecento persone. Il 21 settembre 1943 giungono a Colfiorito due carri armati tedeschi per la ricognizione. La notte del 22 settembre più di mille prigionieri scappano dal campo. Il 10 settembre il capo della polizia Carmine Senise dispone la liberazione degli internati stranieri. Ma molti prigionieri che non erano riusciti a scappare vengono consegnati alle truppe tedesche. Molti dei montenegrini fuggiti dal campo si uniscono alle bande partigiane della zona: la Brigata Spartaco, distaccamento Mancini con sede a Cotogna, al Gruppo 207 di Sefro, al Gruppo di Massa e alla Brigata Garibaldi. A Zoran Kompanjiet, noto col nome di Tenente Nicola, viene assegnato il comando del Gruppo 205 che raccoglie molti degli ex-prigionieri slavi sbandati nelle campagne. Molti si disperdono e si rifugiano nelle case dei contadini della zona di Cesi a Serravalle del Chienti. Alcuni vengono arrestati dai tedeschi e condotti nel campo di concentramento di Sforzacosta.

Approfondimento:

Un campo di concentramento fascista in Italia: Colfiorito 1940-1941. Di Patrizia Fedeli


Fonti:

Itinerari della memoria
Dall’internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito. Di Olga Lucchi